Orientalismo e Malinconia

Non v’è dubbio che come idea, concezione o immagine l’Oriente susciti da sempre negli occidentali risonanze culturali e psicologiche assai complesse e interessanti. Ma cosa sia realmente possibile sapere o capire di usi, costumi, arte, letteratura e storia di questi paesi è ben altra questione. Non mi riferisco soltanto all’approccio che può avere una persona comune, certamente proibitivo per quanto viaggi o legga, ma anche a quel mondo accademico che di tutte queste voci ne ha fatto specifiche discipline. Sta proprio in questo l’idea di uno degli intellettuali maggiormente di spicco dell’età contemporanea, il palestinese Edward Said che, convinto di come i campi della conoscenza, le sue fonti, la direzione delle sue osservazioni, siano inevitabilmente condizionati e limitati dall’ambiente sociale e dalle tradizioni culturali, nonché dalle contingenze storiche, ha coniato per questo insieme di studi il termine di “Orientalismo”. Se questo vale per gli studiosi altrettanto può dirsi per il lavoro degli artisti per i quali, anche i più eccentrici, i meccanismi di condizionamento più o meno consci funzionano allo stesso modo poiché si tratta di tracce profonde scritte indelebilmente, per quanto ci si possa ribellare, fin dai primi giorni di vita. In buona sostanza, secondo Said, ogni forma di approccio in que[1]sta direzione sarà sempre una interpretazione, non foss’altro perché qualunque edificio teorico si sia riusciti a costruire, per quanto esso possa essere vicino alla realtà, la sua trasmissione avverrà sempre attraverso una lingua (le forme artistiche sono anch’esse una lingua) che altro non è, diceva Nietsche, che “un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria”. In altre parole, il concetto di Oriente appare una idea attorno alla quale si sono cristallizzati e stratificati significati, associazioni e implicazioni che ne distorcono la consapevolezza.

Un’altra delle complesse tematiche legate alla storica dicotomia Oriente/Occidente riguarda quello stato di confusione e perdita d’identità verificatosi in molte civiltà a causa di crolli d’importanza o di potenza, di effetti dovuti ad anni di dominazioni coloniali o di spirito di emulazione verso altri paesi apparentemente più moderni e felici. Questo aspetto costituisce la tematica fondamentale dell’opera di un altro grandissimo intellettuale contemporaneo, lo scrittore turco Orhan Pamuk, premio Nobel per la Letteratura nel 2006, che riflette su quello che lui chiama hüzün (malinconia, in turco). Non si tratta di una forma di tristezza individuale, non riguarda nemmeno una somma di singolarità, è la tristezza di milioni di persone, uno stato d’animo collettivo che Pamuk ci fa leggere nel suo paese attraverso la descrizione di grigiore della gente sul ponte di Galata, nel contrasto fra i grandi palazzi e moschee, monumenti della grandezza
ottomana, e il parallelo degrado di Istanbul. Che cosa abbiamo inteso fare dunque noi de L’Artificio con questo evento “A Oriente di Oriente”, qual è lo scopo, quale l’obiettivo? La risposta migliore sta forse proprio in alcune righe dello stesso autore nel suo saggio “Istanbul” del 2003: «Ho trascorso la mia vita ad Istanbul, sulla riva europea, nelle case che si affacciavano sull’altra riva, l’Asia. Stare vicino all’acqua, guardando la riva di fronte, l’altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme.

Ho capito che il meglio era essere un ponte fra due rive. Rivolgersi alle due rive senza appartenere». Ho vissuto personalmente questa stessa esperienza e le fascinose sensazioni di quei momenti sono riaffiorate fortissime fin dai primi momenti nei quali abbiamo concepito questo progetto che vuole essere proprio questo: un ponte che si percorre in entrambi i sensi di marcia, un osservatorio dal quale guardare in entrambe le direzioni, un luogo dal quale cercare le domande giuste. Sì, perché il modo per ottenere le risposte migliori consiste nel fare le domande migliori, e le risposte migliori non sono quelle che danno certezze o verità preconfezionate, sono quelle che forniscono utili strumenti per ragionare.

A oriente di oriente – Mostra di arti visive
Tecnopolo, 42124 Reggio nell’Emilia RE, Italia

Seconda edizione de L’ArtiFestival che segue il successo del primo anno.
Sabato 25 e domenica 26 presso il Tecnopolo (Reggio Emilia) dalle 10:00 alle 19:00.

Il tema di questo anno è “A Oriente di Oriente”. Da Mille e una notte ad oggi sono passati più di mille giorni e l’attrazione che l’oriente emana verso l’occidente non è mai svanita.

ENTRATA GRATUITA
Seminari e laboratori gratuiti: ISCRIZIONE OBBLIGATORIA e Programma su: www.lartifestival.org

Esposizione di opere, ospiti internazionali, proiezioni. Pittura, scultura, arti digitali, fotografia e videoarte.